La pandemia da COVID-19 ha avuto un profondo impatto nella società in cui viviamo, trasformando radicalmente il nostro vivere e il modo in cui ci relazioniamo con gli altri. Tra le altre cose, questo fenomeno globale ha sottolineato la diffidenza di alcune persone nei confronti della tecno-scienza e, nello specifico, del sapere medico. Sebbene questa diffidenza fosse già diffusa in parte della popolazione prima della comparsa del virus, con l’introduzione del Green Pass e, di fatto, di una sorta di obbligo vaccinale, la diffidenza si è trasformata in ribellione.
Le radici dei movimenti no-vax risalgono al 1998, quando sulla rivista Lancet fu pubblicato un articolo di Andrew Wakefield che sosteneva una correlazione fra il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia (MPR) e lo sviluppo di autismo e alcune patologie croniche intestinali. Nonostante tale studio si dimostrò essere falso e ritirato dalla rivista, esso ebbe conseguenze gravi in Gran Bretagna, portando ad un calo delle vaccinazioni e al diffondersi di un’epidemia di morbillo dovuta alla diminuzione dell’immunità di gregge.
Anche in Italia è avvenuto un fatto simile, infatti, nel 2012 con una sentenza il Tribunale di Rimini ha riconosciuto ufficialmente un nesso di causalità tra il vaccino MPR e l’autismo, assegnando un risarcimento per il danno provocato. Dopo tale sentenza, notizie fuorvianti e disinformazione sui vaccini sono diventate virali sul web, portando ad una riduzione dei tassi di immunizzazione dei bambini. Nel marzo 2015 tale sentenza è stata ribaltata dalla corte d’Appello poiché fondata sugli studi svolti da Wakefield, scientificamente irrilevanti e smentiti dalla comunità scientifica.
Ma quali sono le ragioni che portano le persone a rifiutare quanto consigliato dalla comunità medica nazionale e internazionale? Io ritengo che la questione non riguardi l’ambito sanitario, ma piuttosto una concezione di libertà esasperata e distorta che si è progressivamente diffusa a partire dal secondo dopoguerra. Una libertà che non concerne solo la scelta di vaccinarsi o meno, ma anche ambiti totalmente diversi come l’eutanasia, l’aborto, la rivoluzione sessuale, la legalizzazione della marijuana e molti altri eventi. Questi sono accomunati dalla messa in discussione degli assi portanti della società e dal rifiuto nei confronti di qualsivoglia limite o oppressione proveniente dall’alto. Tra i diversi fattori socio-culturali che hanno influenzato questi cambiamenti assumono una particolare rilevanza i seguenti:
- L’ideale di libertà del secondo dopoguerra come reazione alle passate oppressioni;
- Il diffondersi di una visione bambinocentrica nell’educazione;
- L’implementazione della comunicazione a distanza, dei mass-media e dei social media.
Il valore della libertà nel secondo dopoguerra
Il periodo prima e durante la Seconda guerra mondiale è stato segnato dall’instaurarsi di regimi totalitari che hanno esercitato una grave oppressione sulle libertà individuali e collettive, come il nazismo in Germania, il fascismo in Italia e il franchismo in Spagna. Tali dittature non ammettevano opposizione e non concedevano la libertà di pensare, parlare e agire in modo contrario alla politica dominante. La stampa e ogni forma di comunicazione di massa erano controllate e distorte dal partito, che le utilizzava esclusivamente per controllare le masse e fare propaganda. Di fatto ogni libertà individuale e collettiva era controllata da chi deteneva il potere.
Di fronte alla negazione di ogni libertà individuale e collettiva, una volta caduti i regimi e finita la seconda guerra mondiale, la libertà è divenuta un valore fondamentale della nostra società. La seconda metà del Novecento è quindi stata caratterizzata da un progressivo ampliamento delle libertà e dei diritti individuali negli ambiti più disparati. Ad esempio, in passato la professione del figlio dipendeva dalla famiglia: se nascevi figlio di contadino, in futuro saresti diventato tale. Oggi, invece, si ha la libertà di scegliere il percorso di studi e/o lavorativo, grazie anche all’ausilio delle borse di studio statali. Un’altra libertà riguarda l’introduzione del divorzio nell’ordinamento civile italiano nel 1970, con la legge Fortuna-Baslini che sancirà la libertà di potersi separare dal proprio partner, nel caso in cui il matrimonio diventi fonte di infelicità. Inoltre, con la legge del 22 maggio 1978, viene depenalizzato l’aborto, prima considerato dal codice penale un reato in qualsiasi sua forma.
Un notevole impulso viene dato anche alla questione della parità di genere. Infatti, diverse Costituzioni degli Stati democratici iniziano a sancire l’eguaglianza e la parità dei diritti fra i sessi. Il diritto di voto si estende rapidamente pressoché ovunque; al contrario l’acquisizione di diritti civili incontra ancora a lungo tenaci resistenze. In Italia, solo con la Riforma del diritto di famiglia del 1975 viene eliminata la patria potestas che attribuisce al marito tutte le scelte e le decisioni familiari, dall’educazione dei figli al luogo di residenza. Nel 1981 vengono abrogati sia il delitto d’onore che il matrimonio riparatore; nonché nel 1996 la violenza sessuale viene finalmente considerata un delitto contro la persona e non “contro la moralità pubblica”. Parallelamente a questi cambiamenti in ambito giuridico, è cresciuta l’occupazione femminile e l’accesso delle ragazze all’istruzione superiore.
Altre libertà vengono garantite in favore delle minoranze. Ad esempio, lo stato diviene laico e viene sancita la libertà di credo religioso nonché il divieto di discriminazione fra i culti, fondato sul maggiore o minore numero degli appartenenti alle differenti confessioni religiose Nel 1978, la Legge Basaglia ha portato alla chiusura dei manicomi e alla “liberazione” dei pazienti psichiatrici. Nel 1990 l’omosessualità non viene più considerata una malattia mentale e rimossa dall’ICD (International Classification of Diseases) dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel 1993, la legge Mancino introduce nell’ordinamento penale italiano i crimini d’odio intesi sia come violenza che come incitamento verso la stessa per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Questi sono solo alcuni dei gran cambiamenti che hanno riguardato la nostra società. La seconda metà del Novecento è quindi stata caratterizzata da una ribellione nei confronti dei limiti provenienti dall’alto e di ogni forma di oppressione. Progressivamente, in opposizione al periodo delle grandi dittature, la libertà è diventata un valore irrinunciabile, motore di tante lotte nei confronti dei pilatri della società. Questa tendenza, tuttavia, sembra che oggi venga esacerbata al punto da sfociare in un rigido individualismo, che non tiene minimamente conto dei diritti e delle libertà altrui, e che vede in ogni limite un nemico da abbattere: si tratta di una libertà ad ogni costo, che in certi casi sembra sfiorare l’idea di anarchia.
A questa nuova concezione della libertà, estrema ed individualistica, sembrano aver contribuito anche altri fattori socio-culturali.
Il passaggio dall’adultocentrismo ad una visione bambinocentrica dell’infanzia
Un altro grande cambiamento avvenuto nel XX secolo riguarda il modo di guardare l’infanzia che ha permesso di considerare il bambino come qualcosa di diverso da un “adulto in miniatura“. Già la psicoanalisi aveva dato un notevole impulso alla scoperta della psicologia del bambino mostrando un modo di pensare e di vivere molto diverso da quello dell’adulto. Sulla base di ciò la pedagogia ha ripensato il ruolo del maestro di scuola, passando da una visione magistrocentrica ad una centrata sul bambino. Oggi, infatti, non si punta più a rendere il bambino adulto il prima possibile, ma piuttosto ci si concentra sull’importanza dei diversi aspetti che caratterizzano l’infanzia. Negli interventi educativi gradualmente si inizia a tenere conto della singolarità e complessità di ogni bambino in tutti i suoi aspetti (cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, etici, spirituali, religiosi) e delle sue aspirazioni, capacità e fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e di formazione. Quindi, si è assistito al progressivo passaggio da un’educazione molto rigida a una, meno opprimente e direttiva, che prende in considerazione le peculiarità di ciascun bambino.
Inoltre, grazie ai progressi della ricerca neuroscientifica, sono state riconosciute alcune condizioni che determinano nei bambini difficoltà inerenti all’apprendimento come, ad esempio, i disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disgrafia, disortografia) e il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (AHDH). La scoperta di tali condizioni ha consentito di comprendere che non sempre i risultati scolastici scadenti sono il risultato di mancanza di impegno e costanza dello studio da parte del bambino/adolescente, ma questi possono anche dipendere da “patologie” sottostanti uniti a metodi didattici non tarati su queste condizioni.
Se, da un lato, progressivamente ci si è aperti alla psicologia del bambino, dall’altro lato si è gradualmente fatta strada nell’educazione e nella genitorialità una cultura dell’iperprotezione infantile che priva ciascun infante del senso del limite, del rispetto nei confronti degli altri e della responsabilità rispetto alle proprie azioni. Ad esempio, se il bambino torna a casa portando un’insufficienza alcuni genitori non sono disposti ad accettare l’idea che proprio figlio non abbia studiato a sufficienza, al contrario capita spesso che la colpa venga attribuita all’insegnante, alla scuola, al preside e così via. Oppure può scegliere di seguire la via della patologizzazione, e la mancanza di costanza e impegno nello studio divengono il risultato di una diagnosi oggi abusata, come i disturbi dell’apprendimento o da deficit di attenzione. Alla fine di questo processo il bambino, e dopo l’adolescente, vengono privati di volontà, responsabilità e senso del dovere.
Inoltre, oggi molte famiglie si organizzano in funzione delle esigenze e dei desideri dei figli: sono loro che decidono cosa mangiare, cosa comprare; sono loro che condizionano il tipo di vacanza, etc. Nel momento in cui il bambino si trova di fronte una difficoltà, subito i genitori corrono nel cercare di risolverla, senza lasciargli lo spazio per crescere e sviluppare autonomamente la capacità di risoluzione dei problemi. A questo si aggiungono le costanti ansie e preoccupazioni che i genitori hanno nei confronti dei loro figli: “mio figlio sarà o non sarà sano?”, “la vaccinazione può danneggiare mio figlio?”. “è normale che si comporti in questo modo?”, “non vuole mangiare le verdure, ha qualche tipo di malattia?”. O, ancora peggio, c’è chi porta in pronto soccorso il proprio figlio per un mal di pancia o per una stipsi, trasformando un problema lieve in grave.
Al giorno d’oggi le separazioni e i divorzi sono fenomeni comuni. Non sempre però le stesse avvengono in maniera pacifica e in alcuni casi a pagare le conseguenze delle diatribe tra i genitori sono proprio i figli. Non sono rari i casi di alienazione parentale in cui un genitore frequentemente denigra l’altro genitore agli occhi del bambino con false accuse di trascuratezza nei confronti del figlio, violenza o abuso. Ciò porterebbe alla costruzione di una “realtà virtuale familiare” di terrore e vessazione che genererebbe, nei figli, profondi sentimenti di paura, diffidenza e odio verso il genitore “alienato”. Tale dinamica può essere particolarmente insidiosa, poiché di fatto una figura di riferimento importante nello sviluppo del bambino, improvvisamente viene demonizzata e privata di valore. Non passerà molto tempo prima che il bambino imparerà ad utilizzare questo meccanismo nella vita adolescenziale e adulta, non riconoscendo il valore di qualsiasi forma di legge o di autorità.
Di fronte a questo stile educativo iperprotettivo e deresponsabilizzante, molti adolescenti oggi, molto più che prima, sembrano fuori controllo, anticonformisti, senza limiti e vergogna. Eredi di una cultura individualista che pone la libertà quale valore fondamentale e figli di genitori iperprotettivi, incapaci di trasmettere un senso di limite e rispetto nei confronti degli altri, molti adolescenti oggi trovano estrema difficoltà nell’accettazione di qualsivoglia limite. Gli adolescenti diventano la figura maggiormente emblematica di una società che pone come pilastro fondamentale un’idea di libertà estrema ed individualistica. Non è difficile notare come anche molti adulti, anche nel mondo politico, si comportino come se fossero adolescenti.
Il ruolo dei mass-media e dei social media
Sicuramente la nascita dei telefoni cellulari, l’aumento dei canali e delle trasmissioni televisive, nonché la nascita e la diffusione di internet in tutto il mondo hanno profondamente trasformato il nostro modo di comunicare, di vivere e di informarci. Già la televisione, da innumerevoli anni, ha instillato in molti il desiderio di essere famosi e al centro dell’attenzione. Di fatto programmi televisivi quali il Grande Fratello, l’Isola dei famosi, Uomini & Donne, etc., hanno dato visibilità a personaggi discutibili, privi di cultura, competenza o di qualsiasi particolare qualità. Col tempo migliaia di persone hanno partecipato ai provini di questi programmi, in cerca di visibilità e di fama. Questo format televisivo ha diffuso nella popolazione l’idea che non sia necessario possedere particolari qualità per andare in onda in TV ed essere visti da milioni di persone. Ciò ha portato anche alla spettacolarizzazione di litigi e questioni private ai limiti del ridicolo. La vita privata dei singoli è gradualmente diventata una forma di intrattenimento per la popolazione media.
Questo desiderio di fama e visibilità ha trovato un terreno assai fertile nel momento in cui sono stati gradualmente lanciati i social media (Facebook, Twitter, Snapchat, Instagram, Tik Tok, etc.). Grazie a queste piattaforme, a ciascuno di noi è stata data la possibilità di trasformare la propria vita privata in una sorta di show alla portata di tutti così da soddisfare il dilagante bisogno di sentirsi al centro dell’attenzione. Non è più necessario parlare con qualcuno per raccontargli cos’hai fatto, dove sei stato, basta pubblicare una foto, un tweet o una story, che subito tutti i tuoi follower sono messi al corrente di quello che stai facendo. Queste piattaforme, nonostante siano nate con l’intento di connettere le persone, alla fine hanno contribuito ad amplificare le distanze e l’individualismo tipico della nostra società.
Inoltre, attraverso i social media ogni secondo vengono pubblicati migliaia e migliaia di contenuti diversi. Data l’enorme quantità, essi sfuggono a qualsiasi forma di controllo relativa all’affidabilità, all’adeguatezza e alla correttezza delle informazioni trasmesse. Questo è un importante limite dei social network poiché essi sono le principali piattaforme attraverso cui le fake news vengono create e condivise su larga scala. Sebbene molti siano capaci di distinguere una notizia attendibile da una che non lo è, molti altri non hanno una dimestichezza tale con internet da riuscire a farlo.
In alcuni casi il desiderio di visibilità e fama va a braccetto con la creazione e la condivisione di fake news, ed ecco che vengono create reti e gruppi che connettono persone accomunate da una visione complottistica del mondo come, ad esempio, la cospirazione degli illuminati, del Nuovo Ordine Mondiale o del 5G. Queste controculture mostrano come oggi, nonostante spesso le prove a favore di queste teorie siano inesistenti o inconsistenti, le persone decidono di credere a ciò che vogliono, andando contro il senso comune e la razionalità, anche nel caso di visioni del mondo in qualche modo ansiogene e persecutorie.
La diffusione su larga scala delle fake news attraverso i social media ha notevolmente incrementato la diffidenza di alcuni nei confronti del sapere scientifico. In effetti, è proprio sui social media che le voci dello scienziato, del medico, dello specialista vengono poste allo stesso livello di quelle del profano. Ad ognuno di noi è data la possibilità di affermare e di diffondere su larga scala qualsiasi pensiero, informazione, notizia, etc. che sia veritiera o no, e data la dilagante libertà tipica della società, sta al singolo individuo scegliere a cosa credere o meno. Ma tale tendenza è presente anche ai livelli massimi del potere; ad esempio, l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump a più riprese ha minimizzato e/o negato gli effetti dell’inquinamento sul riscaldamento globale, nonostante la comunità scientifica ne abbia riconosciuto l’esistenza e la gravità, posizione condivisa anche dall’attuale presidente del Brasile Jair Bolsonaro.
Sebbene la scienza non produca conoscenze certe e immutabili, le stesse si rivelano corrette fino a prova contraria. La comunità scientifica internazionale è composta da migliaia di esperti, ricercatori, professori universitari di nazionalità, etnia, credo e formazione differente. Ed è proprio tale eterogeneità a garantire l’adeguatezza del metodo scientifico quale strumento di investigazione della realtà. Tuttavia, in un mondo in cui la libertà è un imperativo, nessuno ha il potere di imporre la propria visione della realtà sugli altri. Il sapere scientifico diventa solo un’opzione tra i diversi contenuti a cui si può avere accesso online, e ogni persona si sente in diritto di credere a ciò che preferisce, a prescindere dall’esistenza di prove a favore o contrarie.
Tali dinamiche sono state notevolmente esacerbate e portate allo stremo durante l’attuale pandemia da COVID-19, che è stata accompagnata da quella che diversi studiosi hanno considerato un’infodemia.
COVID-19, infodemia, vaccini e libertà
L’aspetto sicuramente più doloroso relativo al COVID-19 riguarda lo scoppio della pandemia, periodo in cui in Italia si è assistito ad un lockdown durante il quale quasi tutte le attività lavorative e produttive in presenza sono state sospese, colpendo significativamente l’economia del Paese, nonché rinchiudendo milioni di persone nelle proprie abitazioni, con un notevole aumento dell’incidenza di disturbi dello spettro ansioso-depressivo.
Rispetto a quanto affermato precedentemente appare chiaro come una società fondata sul valore inviolabile della libertà possa collassare nel momento in cui la popolazione viene privata di diritti inviolabili, come, ad esempio, di uscire di casa, di svolgere la propria professione, di mantenersi economicamente, nonché di incontrare i propri cari. E se da un lato molti si sono rassegnati alle decisioni del governo, accettandole per un bene superiore; altri hanno reagito minimizzando e/o negando la gravità del virus, come meccanismo di difesa nei confronti di un momento storico particolarmente difficile caratterizzato da profonda incertezza e confusione.
A generare tale confusione hanno contribuito sicuramente i mass e i social media. Un’indagine svolta dal sito YouGov nel 2020 ha infatti rilevato come in Italia, durante il periodo di emergenza sanitaria, Facebook sia risultato la principale piattaforma responsabile della diffusione di fake news relative al COVID-19 (media tra nord-est, nord ovest, centro, sud e isole: 75%), seguito dalla televisione (35%), Instagram (31%), Twitter (30%), giornali (29%), riviste e periodici (20%), radio (14%) e altre piattaforme (13%). Se sui social media ognuno è libero di condividere e di seguire le fonti di cui si fida maggiormente, la televisione e i giornali dovrebbero teoricamente essere più selettivi. Ma così non è stato, infatti gli stessi hanno avuto un ruolo fondamentale nel creare un clima di confusione e incertezza rispetto al COVID-19. Il giornalismo, in nome di una libertà di espressione e di informazione, ma soprattutto per trarre profitto e vendere, ha volutamente diffuso notizie poco attendibili sul virus e dato spazio a esperti (o sedicenti tali) che, al fine di ottenere fama e visibilità, hanno divulgato informazioni contrarie a quanto accettato dalla comunità scientifica internazionale nonché dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Un esempio di posizione anticonformista e pseudo-scientifica è presa dalla scrittrice Silvana De Mari, ex medico-chirurgo attualmente sospeso dall’Ordine dei Medici per aver rifiutato la vaccinazione contro il COVID-19, ma già nota allo stesso per la sua propaganda pseudo-scientifica. Oltre a diffondere fake news contro il vaccino anti-COVID-19, in passato ha affermato che l’omosessualità rappresenti una malattia, considerando le associazioni LGBT “criminali contro l’umanità“. Ha inoltre promosso posizioni critiche verso il sesso anale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’American Psychological Association, le famiglie non tradizionali e contro l’aborto gratuito anche per le vittime di violenza sessuale. Infine, nonostante si definisca cattolica, ha criticato in più occasioni Papa Francesco e l’Islam.
Anche Alessandro Meluzzi, ex-medico-psichiatra nonché scrittore e personaggio che gradisce particolarmente apparire in televisione, è stato sospeso dall’Ordine dei Medici per non aver eseguito la vaccinazione contro il COVID-19. NewsGuard, azienda specializzata nel monitoraggio della disinformazione sul web, lo ha inserito nella lista dei “super-diffusori di disinformazione sul COVID 19 in Europa”. Tra le diverse fake news, ha sostenuto che le mascherine sanitarie contengano un “microchip 5G” e che la pandemia non sia altro che un complotto ordito da Bill Gates; che le persone ricoverate fossero vittime di terapie sbagliate. Un aspetto particolare nella storia di questo personaggio riguarda il fatto che si sia autoproclamato primate, metropolita e arcivescovo di una Chiesa ortodossa non riconosciuta dalle Chiese ortodosse, con il nome ecclesiastico-patriarcale autoimposto di Alessandro I e il trattamento onorifico di «Sua Beatitudine».
Queste due persone sono figure emblematiche della tirannia della libertà che ha investito anche il mondo dell’informazione, ma soprattutto quello della disinformazione. Alcuni medici, abusando dei propri titoli di studio (che non ne certificano la competenza e l’attendibilità), non hanno esitato ad andare contro la comunità scientifica internazionale per ottenere fama, visibilità e trarre profitto dalla vendita dei propri libri. E nonostante le tesi che diffondono non siano in alcun modo suffragate da prove scientifiche, diverse persone seguono, credono e alimentano l’ego di queste figure. In una società in cui la libertà è un dictat, se qualcuno decide di non vaccinarsi per paura che il vaccino possa essere nocivo, probabilmente questa persona avrà occhi solamente nei confronti di quelle notizie e informazioni che confermano questa tesi. Questo meccanismo cognitivo è noto come bias di conferma o confirmation bias: si tratta di un processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare ed interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità, a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi e, viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono. Il fenomeno è più marcato nel contesto di argomenti che suscitano forti emozioni o che vanno a toccare credenze profondamente radicate.
La caduta del paternalismo medico
Viviamo quindi in una società in cui la libertà è esasperata, dove il soddisfacimento dei bisogni e desideri individuali può tranquillamente scavalcare quello degli altri. Ognuno si sente libero di curarsi o di prevenire le malattie nel modo che preferisce, e non sarà il medico o chi per lui a poter decidere sulla salute di qualcun altro. Infatti, l’epoca del paternalismo medico è già finita da tempo in nome della libertà di autodeterminazione di ciascun individuo. La visione paternalistica in medicina implica che il medico possa agire, o omettere di agire, per il bene di una persona senza che sia necessario chiedere il suo assenso, in quanto si ritiene che il medico abbia la competenza tecnica necessaria per decidere in favore e per conto del paziente. Questa impostazione è giustificata dall’idea che il paziente non possieda le competenze necessarie per prendere una decisione relativa alla propria salute, incluse le scelte terapeutiche.
Sebbene i pazienti di oggi non abbiano maggiori competenze di quelle che avevano trent’anni fa, con l’avvento di internet ogni persona è capace di accedere rapidamente a una vasta gamma di informazioni relative a una determinata patologia, spesso anche poco attendibili o molto generiche. La possibilità di accedere a questi dati contribuisce notevolmente ad un’illusione di competenza da parte dei pazienti, che non di rado si recano dallo specialista con un auto-diagnosi basata su informazioni reperite su internet. Se poi lo specialista smentisce la diagnosi, probabilmente sarà considerato un incompetente, e il paziente inizierà a girare diversi specialisti finché non troverà qualcuno che confermerà la sua idea (bias di conferma).
Alla luce quindi dei valori fondamentali di libertà e individualismo che caratterizzano la società contemporanea e grazie alla diffusione di internet, dei social media, nonché delle fake news, si assiste alla caduta del paternalismo medico in favore del diritto all’autodeterminazione del paziente che gli garantisce la possibilità di rifiutare le cure e porre limiti ai trattamenti (ad esclusione di quelli previsti dalla legge). Al giorno d’oggi, si è diffusa una cultura per cui ogni persona si sente totalmente libera di scegliere come prevenire e/o curare le malattie, non basandosi necessariamente sul parere di professionisti o del sapere scientifico. Esempi di tale tendenza sono quei casi in cui le persone rifiutano le cure mediche tradizionali in favore di pratiche mediche alternative, non riconosciute dalla comunità scientifica internazionale, che in alcuni casi possono anche aggravare la prognosi di certe patologie.
Conclusioni
Il diritto all’autodeterminazione nella cura, tuttavia, nella situazione in cui ci troviamo oggi non può essere garantito a tutti. Infatti, se da un lato c’è il diritto della persona a scegliere liberamente relativamente alla cura della propria salute, dall’altro c’è l’esigenza di tutela della salute pubblica e, in particolare, di coloro che non possono accedere alla vaccinazione per motivi di salute come, ad esempio, gli immunodepressi. Inoltre, per debellare completamente la pandemia è necessario arrivare ad una copertura vaccinale pari al 90%, percentuale che secondo gli specialisti potrebbe garantire l'”immunità di gregge“. Un altro aspetto non meno importante riguarda i tassi di occupazione delle terapie intensive e, quindi, di uso e abuso del sistema sanitario nazionale. Sembra che i non vaccinati abbiano maggiori possibilità di sviluppare forme gravi di COVID-19 rispetto ai vaccinati e, di conseguenza, gli stessi occupano più posti letto nei reparti di terapia intensiva, privando altri pazienti, affetti anche da altre patologie, della possibilità di accedervi.
Nonostante la scelta di vaccinarsi comporti molti più benefici (sia individuali, che pubblici) rispetto ai rischi, attualmente il 14% della popolazione italiana non si è ancora vaccinata. E, in tutta Italia, crescono le proteste per l’introduzione dell’obbligo di Green Pass per accedere ai luoghi di lavoro che coinvolgono persone appartenenti a diverse generazioni, dagli studenti del liceo alle persone anziane. Ritengo che questo fenomeno sia il risultato di una società che ha portato all’eccesso il valore della libertà, sfociata in un individualismo estremo in cui i diritti di ogni persona sono sempre prioritari rispetto a quelli degli altri. Una società in cui ogni persona si sente protagonista, in diritto di affermare la propria opinione in ogni ambito, anche in assenza di conoscenze e competenze adeguate, che ha come risultato la diffusione su larga scala di migliaia e migliaia di notizie e informazioni del tutto inattendibili. Un mondo in cui i diritti e le libertà degli altri sono sempre meno importanti e scavalcabili rispetto alle proprie.
Non so tutto questo dove ci porterà ma ritengo che, per un principio di omeostasi e di equilibrio che da sempre muove i grandi cambiamenti storici, prima o poi interverranno delle forze finalizzate al riequilibrio di questa cultura della libertà fuori controllo e, ahimè, è triste vedere come nel mondo le destre sovraniste e populiste stiano guadagnando sempre più consensi, proponendo dei modelli di ritorno alla tradizione e fondando le loro posizioni su dati e notizie non attendibili e non scientificamente riconosciute. Tutto questo è estremamente pericoloso proprio perché potrebbe portare a una totale repressione della libertà, nonché al ritorno a modelli socio-culturali antichi e, ormai, superati.